Agli amanti

Mr. Darcy, lo so che ti piglierà un colpo a leggere il titolo di  questo post, ma non temere, non è come sembra. Eppure è da due settimane che volevo scriverlo, e non riesco a resistere oltre.

Partiamo dal principio, e il principio è una confessione, di quelle più semplici ed innegabili: mi sono innamorata.

Ho di recente ritrovato una vecchia conoscenza, che non mi aspettavo di ritrovare qui, di ritrovare adesso. Ai tempi, il nostro incontro era stato sbrigativo, asettico, tutt'altro che cordiale. 
Sapete, no, quegli incontri che si portano il fastidio addosso, e che se ci ripensi ti viene solo da sgranare gli occhi, corrucciare le labbra e pensare, "Ma stiamo scherzando...".

E invece. Invece, non so che mi sia preso. Credo, una serie di fortunate (che dir si voglia) circostanze occorse tutte nello stesso momento: il periodo in Inghilterra, l'aver terminato gli studi, forse semplicemente non essere più l'acerba ragazzina di dieci anni fa.

Ricordo con languido ardore il momento in cui i fatti, che a breve racconterò, si sono spiegati con una naturalezza e una dolce violenza, che solo il Destino può averne ordito le trame.

Ero tornata da poche ore da St. Albans, era un sabato pomeriggio. Avevo ancora molte ore di sonno sulle spalle, ma il desiderio di vivere casa, non solo di tornarci, era in me più vivace che mai, al punto che avevo deciso di andare a trovare degli amici in zona Varese. 

Mi trovavo dunque alla stazione di Garibaldi, in attesa del mio treno. Volevo fare un giro di shopping, ma non ero soddisfatta nemmeno un po'. Fatto sta, che vagolavo stanca su e giù per i diversi livelli della stazione, con la mia bottiglietta d'acqua in mano.

E poi.

Poi, ad un certo punto, mentre guardavo un grosso schermo dalle scritte arancioni, per scoprire a quale binario ero stata assegnata, mi voltai, in un gesto casuale, e vidi la Feltrinelli. 
Come sospinta da una forza che non veniva da me, mi diressi imperiosamente dentro, verso la narrativa italiana.

E lì, tra Baricco e  Calvino, c'era lui, che mi guardava, con la stessa sorniona arroganza di tanti anni prima: Dino Buzzati (1928-1972).

In gioventù avevo letto Il Deserto dei Tartari e poi anche qualche racconto sparso. Ne ero rimasta delusa e disgustata. Mi era apparso come un presuntuoso imbrattacarte con cui non avrei mai avuto nulla da spartire. 

Eppure lo guardai. Guardai quella raccolta di Sessanta Racconti dalla cima dell'ultimo scaffale, con quel suo mezzo sorriso di nascosto tra le pagine. Mi colse alla sprovvista. Mi colse in mezzo ad una fame tremenda.
In Inghilterra ho letto tantissimo in inglese, ed ora, davanti a lui, saliva in me la nostalgia potente di leggere un autore italiano, di immergermi nel piacere del suono delle sue parole. 

Fu il tempismo forse. Non saprei oramai come giustificare quello che accadde in seguito.

Non so bene perché gli concessi una seconda possibilità. Forse, dopo tutti quegli anni, mi davo il beneficio di potermi essere sbagliata, e lui entrava spaccando in due quel dubbio, col fascino di una misteriosa reminiscenza che chissà cosa aveva da dire.

Afferrai i Sessanta Racconti per la rilegatura e mi diressi in cassa. Ero talmente emozionata che sono dovuta tornare indietro a riprendere la mia bottiglietta d'acqua.

Quello che è successo dopo...

Fu letteralmente un colpo di fulmine. Il treno correva, immerso nell'aria condizionata e nel primo sole di giugno, mentre io nutrivo la mia passione, pagina dopo pagina, racconto dopo racconto.

E così ancora nei giorni seguenti.

Non vedevo l'ora di poter tornare ad avere i Racconti tra le mani, abbandonandomi ormai ai subbugli più devastanti dell'animo. Momenti di rabbiosa e affamata passione, in cui me lo sarei mangiato, riga dopo riga, quasi fosse fatto di carne, sudore, labbra.
Altra volte, lo leggevo con il tremolio negli occhi, quel raro stupore che si ha davanti ad un essere puro e meraviglioso, davanti al quale si fa un passo indietro, e si contempla con un'appassionata ed insolita castità.

Sono arrivata quasi alla fine dei Sessanta Racconti, mi mancano gli ultimi quindici. 

Da un lato, avverto già il nervoso disappunto del momento in cui arriverò alla fine.
Dall'altro, sento già un altro richiamo delle Sirene. Uno dei miei libri preferiti in assoluto, che ho letto solo una volta, prestatomi da un amico.

Oggi, dopo lavoro, ho girato due intere librerie in piazza Duomo per trovarlo. E alla fine, sono uscita trionfante con il mio Figlio di Dio di Cormac McCarthy stretto tra le mani.

I misteri dei condomini, Dino Buzzati, 1965

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