Cronache da oltre la frontiera

Il puzzo di morte rimbomba nel silenzio delle strade di Milano. Esala dai tombini, sposta una folata di vento da dietro gli angoli delle case. Se per caso si avverte il rumore di passi dietro di sé, si accelera, si cambia marciapiede, ci si copre il volto con una mano piena di terrore, mentre con l'altra si tasta in tasca la coroncina del rosario, per calmare l'improvvisa impennata del battito cardiaco. Una continua altalena di singhiozzo tra il non sentire niente e sentire il cuore e milleee (tanananana).

Ok, basta con queste stronzate, ma sappiate che sono tre giorni che mi diverto come i matti a star dietro ai post di sapore pre e post apocalittico - anche se i miei preferiti rimangono quelli che incitano agli assembramenti, quali processioni, quando l'unica cosa lapalissiana è che questo fantomatico corona rithm of the night virus (come lo ha battezzato la splendida Michela Giraud) si diffonde nel contatto umano. Ma tant'è.

Sono confinata in smart working, come la maggior parte dei very milanesy imbruttity e, per i ritmi frenetici del milanese medio, questo twist di trama obbligato è un decisivo toccasana.
Il tempo è scandito dal tepore del pigiama e della copertina da divano, dai pranzi col coinquilino, dalle lente passeggiate nel cuore di una Milano (finalmente!) svuotata, silenziosa, maestosa; dai power nap postprandiali, dai libri, dalla musica...

Sulla pagina di #unterroneamilano si è parlato ieri di collateral beauty, cioè quella bellezza (dal retrogusto un po' amaro forse, ma sempre di bellezza si tratta) che si scopre dentro luoghi inattesi, dove tutto ci si aspettava di trovare meno che questo.

In questi primi giorni, in cui il tempo è rallentato (e ho ricominciato a dormire un numero di ore decente), eccovi un po' della mia collateral beauty:
  • Man Alive!, King Krule (mammamia, quanti brividi...)
  • The Decalogue, Sufjan Stevens, Timo Andres (amo, lui amo tanto)
  • The Greatest Gift, Sufjan Stevens
  • Junky Star, Ryan Bingham (noiosetto)
  • Currency Of Man (The Artist's Cut), Melody Gardot (in loop da ieri sera, una vera perla)
Tralascio il loop in cui sono rientrata dei Belle&Sebastian, in particolare The Boy With The Arab Strap, che ha un potere conturbante, tutte le volte; assieme alle Danze Slave di Dvoràk (performate dalla Filarmonica Ceca, letteralmente mindblowing).

Dentro questo mood all'Amelìe Poulin, ovviamente si nascondono preoccupazioni, perlopiù di carattere lavorativo, ma sarebbe decisamente un passo evolutivo interessante se tutti riuscissimo a trovare un equilibrio interno per cui, sì, restiamo coi piedi per terra, ma fondamentalmente, godemosela

La Passeggiata, Marc Chagall, 1917-18, Museo di Stato di San Pietroburgo

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