Dark Roman Wine

Ho invitato degli amici a cena. Ci vuole coraggio, con l'aria di carta vetrata che avvolge Milano in una cappa di sabbia umida, senza condizionatore in casa e senza nemmeno un ventilatore.
Ma, a prova del loro gran cuore, si sono presentati lo stesso.

Sono entrati in casa, grondanti di sudore e di abbracci. Ho aperto ogni pertugio che potesse traspirare aria, ma tant'era che pareva di ficcare sette buoi in una stalla sotto il sole di mezzogiorno.

Jack aveva portato il vino. No, non un vino, il vino, il mio vino preferito: un corposo, caldo, immenso Syrah.
A fine giugno, uno dei desideri più sensati che si potessero esprimere. Ma, ci conosciamo bene, omnia vincit amor, non c'è molto altro da aggiungere.

Eravamo rimasti a Jack che porta il vino. 

È entrato, tenendo la bottiglia abbracciata come la schiena di una donna, appiccicata nel caldo dell'estate, piena di ditate e quasi unta.
Mormorando qualche frase di circostanza, scambiandoci due occhiate piene di affetto, Jack ha continuato a camminare fino al tavolo, tra l'ingresso e il frigo in acciaio.
Senza dire più nulla, ha preso il cavatappi, mentre io misuravo i chili di pasta, chiedendomi in che modo li avrei incastrati nella pentola, se non con un atto di fede.
In un silenzio tutto suo, confuso e nascosto tra il mormorio degli altri che, nel frattempo, avevano cominciato a trottolare per casa, generando ancora più calore e acre odore umano; nel silenzio del suo spazio, sull'angolo del tavolo, Jack ha tirato il tappo del Syrah. Poi, con il collo del vino in una mano, ha aperto il frigo, ha ricavato un angolo tra un'Icnusa e il succo al pompelmo di Paolo, ci ha avvitato la bottiglia dentro e, così come dolcemente lo aveva aperto, ha richiuso il frigo.

Il primo grido di sgomento è venuto dalla sua ragazza che, nell'osservare quel rituale bizzarro, si è giustamente sentita in dovere di intervenire. Il cuore della perplessità (sua, ma, facendosi portatrice del pensiero comune, certamente anche nostra) verteva sul perchemmai abbandonare un vino rosso in un frigo e per giunta senza tappo.

Jack, con candore estremo ed estrema consapevolezza, ha fatto presente che la temperatura di un rosso, comunque deve rimanere attorno ai 15 gradi e che, probabilmente complici anche i 730 milioni di gradi in cui eravamo immersi, andava abbondantemente lasciato respirare.

E così ognuno si è rimesso al suo posto: io a schiacciare i maccheroni nella pentola con gesti minacciosi, gli altri ad apparecchiare, fumare e trottolare in giro. Quasi come se nulla fosse successo o, probabilmente, come se ogni cosa fosse al suo posto.

E mentre però rimestavo i maccheroni, che ormai si stavano incollando come figurine, pensavo a quel mio Syrah nel frigo. Quel Syrah che attendevo tanto, che avrei strappato dalle mani di Jack e servito mentre ancora erano tutti sulla porta. Quel Syrah che stava nel frigo ad attendere. Quel Syrah che avevo paura di perdere se non avessi stretto subito tra le mie mani.

Ho servito uno straordinario pesto di zucchine e pomodori secchi, avvolto in granella di mandorle che rendevano la pasta croccante e fresca, mentre Jack riprendeva il Syrah dal suo scomparto del frigo.
Quel Syrah che avevo atteso tanto, quel Syrah che avevo lasciato rinfrescarsi e respirare.

Ma questa è un’altra storia, e si dovrà raccontare un’altra volta.

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