Momenti di trascurabile felicità - rubando un titolo non per pigrizia lo giuro

Lunedì, dopo la mia prima giornata di lavoro, mi decido a comprare e cominciare a leggere Momenti di trascurabile felicità, di Francesco Piccolo. Mi ha fatto una compagnia inspiegabilmente tenera in questi primi giorni di spaesamento e adattamento ad una nuova vita.
Ma, soprattutto, mi ha fatto venire una voglia tremenda di raccontare quali siano i miei momenti di trascurabile felicità.

Eccone alcuni.

I momenti in cui non ho voglia di parlare con nessuno e nemmeno mi so spiegare e voglio sentire solo la voce di Aretha.

Scoppiare a ridere da sola in metro, in mezzo a sconosciuti, mentre guardo una puntata di "Vita Buttata" di Willwoosh.

Fumare l'ultima sigaretta della sera, appollaiata alla finestra, e di sottofondo Dark Roman Wine degli Snow Patrol, e finire la sigaretta esattamente con l'ultima emissione di fiato dell'organo.

Quando, in mezzo ad una playlist di Spotify, parte per caso una canzone che non ricordavo aver messo lì, ma che mi piace tantissimo.

Due o tre lunedì fa sono andata alla Scala per la prima vera volta nella mia vita (se la prima volta si considera che fossi in quinta elementare ed ero andata ad assistere a tali Swingle Singers).
Mi ha portata la mia incredibile amica Silvia, con la quale ho condiviso un anno di lavoro e una vita di passioni comuni, che spaziavano elegantemente da Fantozzi alle nuove tendenze jazz-yiddish (Simcha, Omer Avital e Avishai Cohen) che, ovviamente, ci premuravamo di canticchiare assieme.
Insomma, vado alla Scala. Inebriata dalle luci, dalle altezze, dalla maestosità, nonché dal fatto di essere finalmente riuscita ad entrare in un tubino senza sembrare uno zampone rilegato.
Andiamo ad assistere ad una delle sinfonie che più amo al mondo, Quadri da un'esposizione, di Musorgskij (la versione maestosa orchestrata da Ravel). 
L'orchestra Mariinsky che la interpreta è, come si può facilmente intuire, russa, così come il direttore, Valery Gergiev, e di fatto come l'autore.
Sia stato il felice connubio di questa reimptriata tra connazionali - complici forse anche il palchetto, il velluto, lo spumante o persino il fatto che sia nascostamente riuscita a sfilarmi i tacchi e rimanere tutto il concerto a piedi nudi sulla moquette - quando Gergiev ha sollevato la bacchetta in un ampio respiro e ha dato l'attacco del primo brano, Promenade, è accaduto qualcosa di simile ad un rapimento mistico.
Non sapevo più che giorno fosse o che momento della giornata; non c'era più il teatro, le persone, i drappi, i lampadari. Tutto era un'invasione di archi, fiati, corni, grancasse, gong e altro non so spiegare.
Se non che ad un certo punto, la bacchetta si è abbassata lentamente, i violini e i violoncelli si sono spenti, le trombe hanno smesso di respirare, sotto uno scroscio indefinito di applausi.

Vedere i cartelloni pubblicitari vuoti, per strada, sui quali campeggia la scritta "Scegli questo spazio per la tua pubblicità", e pensare ogni volta che sia un incredibile Inception che la pubblicità stessa si faccia pubblicità.

Girovagando per Venezia, finire per caso alla Casa-Museo Querini Stampalia e incontrare un adorabile vecchietto che lì fa il volontario, il quale, vedendomi, esordisce, "Signorina, se vuole le spiego io. Sa, io sono solo un guardiano, ma quando vengono le guide io le seguo di nascosto e ascolto. E ho imparato un po' di cose! Se vuole, le spiego".

Ascoltare rapita il suono della lavatrice in centrifuga con la beata consapevolezza che non salterà furiosamente e non distruggerà la lastra di marmo sopra di essa.

Una sera, dopo lavoro, ho avuto un brutto quarto d'ora. Quei quarti d'ora che non dovrebbero succedere a nessuno, ma che talvolta capitano anche ai migliori.
Ingollo l'ultimo sorso di birra, e mi dirigo lentamente verso casa. Provo a telefonare alle mie amiche, una per una, ma una è ancora al lavoro, un è ad accompagnare il fidanzato a degli esami post incidente, una è ancora a lezione... Finché lei (e lei sa che è lei) risponde.
"Annina sono appena uscita dal lavoro, non posso lasciarti sola! Sono anche venuta in macchina a Milano oggi, quindi adesso ti porto fuori a cena. E sì, restiamo al telefono finché non arrivi alla fermata della metro!".

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