Spes contra spem

Il 14 dicembre scorso, ho ordinato un letto su Amazon. Un opulento letto matrimoniale di un bel legno scuro, su cui poter dormire a stella la sera e farci colazione il sabato mattina.

Il 16 dicembre, un materasso bianco ghiaccio, anti acaro, con struttura a nido d’ape, fa il suo ingresso trionfale in casa, arrotolato su sé stesso come un enorme cannolo, ripieno di luccicanti promesse per quello che ingenuamente speravo essere l’immediato futuro.

Eppure dovevo immaginarlo. Anche per Ulisse i vent'anni di viaggio verso Itaca erano cominciati quando si trovava all'orizzonte di casa. Poi, uno dei suoi marinai più svegli aveva deciso (su suggerimento di Nettuno, sia ben chiaro) di aprire la sacca dei venti regalata loro da Eolo – così, tanto per, alla fine, è una sacca d’aria del dio venti, cosa mai potrebbe esserci dentro?

E così, come una fedele Penelope, ho cominciato ad attendere. Nel frattempo, mi sono trasferita nella cameretta degli ospiti, “solo per qualche giorno”, come ci si dice sempre, per infondersi quel po’ di speranza e arrivare a fine giornata.

I giorni passavano. È arrivato il Natale, l’influenza, il Capodanno, e di nuovo l’influenza.

Poi, come una fiammella di luce nel cuore della notte più buia: le ferie. Annunciate come un balsamo per l’anima, portatrici di infinite ore di nanna. Giorni liberi, durante i quali finalmente sarei potuta andare in giro per mostre e per amici, e avrei potuto sistemare casa nuova, e montare il letto, che certamente stava arrivando. Era questione di aspettare ancora qualche minuto, ancora qualche ora, forse solo domani. Anzi, sicuramente domani. “Certo, piccola, mañana”. Era sempre mañana. Per tutta la settimana non sentii altro: mañana, una parola deliziosa che probabilmente significa paradiso.*

Le ferie sono passate, in una serie di altri sfortunati eventi, per naufragare poi sulle spiagge caraibiche del mio compleanno. Tre giorni (all’incirca) di baccanali senza sosta – interrotti solamente da un accesso di anzianità – e io ancora che mi chiedo perché il mio corpo non risponde più come quando avevo diciotto anni.

Del letto, nessuna traccia.

Il materasso era sempre lì, che racchiudeva gelosamente le sue promesse di una vita agiata e principesca; ad accumulare polvere sui bordi esterni. Fuori, la nebbia della Bassa cominciava ad insinuare i suoi lunghi tentacoli tra le strade della periferia di Milano. E con il sole, anche l’ultimo barlume di speranza si è spento in quell’umido abbraccio di sonno.

Poi, come accade spesso, in un momento di piatta ordinarietà, il Fato annoiato decide di mescolare le sue carte.

Un grigio lunedì mattina di metà gennaio, un giorno come tutti gli altri, mi arriva un messaggio dal portinaio. Il messaggio contiene una foto, non dice nulla. C’è già dentro tutto. Il mio letto, stretto nella sua custodia di cartone, appoggiato lì al muro della portineria.



E se davvero l’attesa aumenta il desiderio, questa è una delle storie d’amore più grandi che siano mai state narrate. 

*Sulla Strada, Jack Kerouac, 1951.

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